Gli uccelli sono il gruppo di Vertebrati con il maggior numero di specie ed offrono una chiave di lettura ricca e diversificata delle variazioni che avvengono, e che provochiamo, nell’ambiente che ci circonda. In questo senso rappresentano uno degli indicatori ecologici di maggiore efficacia e il loro stato di conservazione è strettamente relazionato alla nostra qualità della vita.

Dal 2009 è stata realizzata una collaborazione tra LIPU e Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali finalizzata a disporre di informazioni aggiornate sulla performance ambientale dell’agricoltura, sulla qualità ambientale degli agroecosistemi e sulla loro evoluzione nel tempo grazie alla raccolta dei dati ornitologici necessari all’ottenimento degli indicatori Farmland Bird Index (FBI) e Woodland Bird Index (WBI).

LIPU infatti coordina a livello nazionale, insieme a CISO, D.R.E.Am. Italia e FaunaViva, un programma di monitoraggio dell’avifauna nidificante denominato MITO2000 (Monitoraggio ITaliano Ornitologico).

Risultati degli andamenti 2000-2011

Analogamente a quanto viene effettuato nell’ambito del programma europeo di monitoraggio Pan-European Common Bird Monitoring Scheme, le specie comuni nidificanti in Italia rilevate con il MITO2000 vengono suddivise in diversi gruppi, così da verificare lo stato di salute dei differenti macro-ambienti. In particolare in Italia si sono individuati quattro gruppi:

Le specie agricole, le specie caratteristiche delle praterie montane e le specie di bosco, rispettivamente, sono state utilizzate per la definizione dei tre indici aggregati: Farmland Bird Index (FBI), Farmland Bird Index delle specie delle praterie montane (FBIpm) e Woodland Bird Index (WBI). Il periodo considerato è compreso tra gli anni 2000 e 2011.

I dati confermano una lieve tendenza alla diminuzione del Farmland Bird Index. Tra le specie in diminuzione troviamo, tranne alcune eccezioni, quelle maggiormente legate agli ambienti agricoli pseudo steppici, come Calandrella, Cutrettola, Allodola e Saltimpalo, ma anche quelle legate ai mosaici agrari più complessi e strutturati, come Torcicollo e Averla piccola. Mostrano invece una tendenza all’incremento le specie meno esigenti da un punto di vista ecologico (Gazza, Cornacchia grigia), ma anche alcune tra quelle maggiormente legate alla presenza umana (Storno, Verzellino). Questi risultati dipendono probabilmente, da una parte, dalla banalizzazione degli ambienti agricoli, causata dalla perdita di elementi strutturali del paesaggio (come siepi, filari, zone umide, ecc.) e dalla tendenza alla monocoltura e il conseguente abbandono di colture estensive come i prati da sfalcio. Questo fenomeno perdura da decenni e caratterizza soprattutto le zone più fertili quali le pianure dove si è recentemente aggiunto un processo di urbanizzazione caotico e invasivo. Dall’altra parte i dati ornitologici sembrerebbero evidenziare una crisi degli ambienti agricoli estensivi, come quelli caratterizzati da pascoli aridi (pseudosteppe) di molte zone del sud Italia causata dall’abbandono della pastorizia, ma più frequentemente dalla conversione verso pratiche agricole più intensive (ad esempio i seminativi irrigui) che riducono l’idoneità di questi ambienti per le specie in diminuzione.

Conclusioni

Aggregando i dati delle diverse specie è possibile ottenere degli indicatori di larga scala che possono fornire indicazioni circa la salute dell’ambiente. Alcuni paese europei, come la Gran Bretagna, hanno incluso questo genere di indicatori tra i principali indicatori di qualità della vita. L’indicatore che include le specie tipiche degli ambienti agricoli (Farmland Bird Index) viene utilizzato dagli Stati dell’Unione Europea per valutare l’impatto delle politiche di sviluppo rurale sulla biodiversità. Gli uccelli, in particolare quelli più comuni, sono un utile campanello di allarme a servizio di coloro che amministrano territori, società e persone.

Fulvio Mamone Capria, presidente Lipu – Lega italiana protezione uccelli