© Peter Borchert, African Geografic Blog 2013 (traduzione di Valeria Cioni)
La ‘passeggiata con i leoni’ è buona conservazione? Probabilmente no
Quando un operatore turistico offre la possibilità, a pagamento, di ‘camminare con i leoni’ non è sorprendente che attiri un flusso costante di turisti. E poi quando si afferma che il denaro è indirizzato a un progetto di Rewild sembra davvero una buona cosa.
Solo 50 anni fa 100 mila leoni attraversavano le savane dell’Africa, ma oggi l’habitat del leone è solo un quarto di quello di allora e i leoni allo stato selvatico sono meno di 30 mila. Il quaranta per cento di questi vive in Tanzania e solo nove paesi possono dichiarare di avere più di mille leoni selvatici viventi. Dire che i leoni in natura sono su un biglietto di sola andata per l’estinzione non è probabilmente un’esagerazione. Allora, perchè vi dovrebbero essere problemi con un tentativo di invertire la tendenza?
Polemiche e conservazione sono buone compagne. E intorno alle operazioni di Antelope Park a Gweru, Zimbabe, e anche alle loro sorelle, di nome Lion Encounter a Victoria Falls in Zimbabwe e Zambia, dove viene promossa l’interazione con questi grandi felini, la polemica è veramente furiosa.
Antelope Park, come dichiarato sul suo sito web, è ” la casa per il programma di riabilitazione Alert leone di fama mondiale” come si vede anche nella grande serie di documentari della UK TV “Lion Country”. Alert, a quanto pare, è l’organizzazione ombrello di una rete di sottogruppi : Alert è un ente senza scopo di lucro, ma i sottogruppi non lo sono.
Il nocciolo della questione è la visione di Alert, che si fonda su una strategia di Rewilding a quattro stadi, di cui la quarta e ultima tappa è il rilascio dei leoni in aree deputate alla conservazione. Si capisce che le grandi idee non sono sempre realizzabili, ma Alert, fondata nel 2005, deve ancora rilasciare in libertà un solo leone.
I leoni, fedelmente alla strategia di base di Alert, nel frattempo si riproducono. I cuccioli, presi dai loro branchi per camminare con i turisti, presto diventano troppo grandi e vengono trasferiti in altre sedi mentre sono utilizzati sempre nuovi piccoli. I leoni, nelle fasi centrali del modello di riabilitazione, maturano e si riproducono aumentando il numero dei leoni in cattività. Infatti, i dati forniti a Africa Geographic da Alert mostrano un grande accumulo di leoni baby (su cui si è guadagnato), un tasso di mortalità significativo nelle fasi intermedie e nessun rilascio con successo nella fase finale del programma fino ad oggi. Dopo 8 anni i numeri parlano da soli. Eppure Alert persiste con le sue pretese di fare conservazione della specie richiamando volontari e turisti.
Vorrei essere chiaro su questo, io sono favorevole a operazioni di turismo di successo, ma non quando distolgono denaro da genuine attività di conservazione e non quando le promesse di impatto sulla conservazione della specie sono una patina per operazioni di marketing. I leoni prodotti in eccesso da queste operazioni di riproduzione dovranno pur andare da qualche parte per alleviare il collo di bottiglia e se la destinazione non è una zona di conservazione autorizzata, quale potrebbe essere?
La paura e, in alcuni ambienti il forte sospetto, è che in una qualche forma di riciclaggio di fauna selvatica questi animali siano indirizzati in una delle tante fattorie di allevamento di leoni che servono per operazioni di caccia al “leone in scatola”.
Vorrebbe dire abbastanza cinicamente che il denaro per la conservazione che arriva da stage di volontariato, o da altre tasse imposte per camminare con i leoni e anche da donazioni viene deviato da progetti di conservazione buoni a operazioni di dubbia etica.
Se questo non è il caso, allora solo la trasparenza per tutti i leoni coinvolti dalla culla alla tomba potrà placare la crescente inquietudine del mondo della conservazione.
Gli attacchi sugli esseri umani si sono già verificati a Lion Encounter e molto probabilmente arriverà una vera tragedia. Ma questa è un’altra storia.
Dereck Joubert, ambientalista, National Geographic Explorer in Residence e documentarista straordinario, così commenta:
“C’è stata una proliferazione di queste passeggiate con i leoni, non solo in Africa. Li ho visti anche in Mauritius. A mio parere l’attività è fondamentalmente errata. I leoni sono animali potenzialmente pericolosi e camminare con loro espone a incidenti che si tradurranno nella uccisione dell’animale, oltre a erodere la selvatichezza, la mistica e l’essenza stessa di ciò che è un leone selvaggio.
E’ il rispetto per quella vitalità e selvatichezza che guida la conservazione dei leoni selvatici. Se si considera che ci sono probabilmente 6.000 leoni in cattività, ma che non includiamo quei leoni nella cifra complessiva, compresa tra 20.000 e 30.000, dei leoni in natura, è perché la conservazione dei leoni non si basa sul numero totale nel mondo, ma su quelli in natura. Come tali, i leoni in cattività hanno poco a che fare con la conservazione.
I leoni in cattività semplicemente confondono la problematica della conservazione del leone ma la mia preoccupazione è anche quello che succede quando i leoni diventano vecchi, feriti, malati ed è un po ‘meno carino a camminare con loro. Non alimentano gli scenari di caccia dei leoni in scatola? Probabilmente.
E la caccia al “leone in scatola” è uno dei più grandi usi dissennati di una icona dell’ Africa. Nuoce alla reputazione del Sud Africa, è spinta solo dall’avidità e ha stimolato un mercato che potrebbe essere responsabile non solo del crollo dei leoni ma anche delle tigri selvatiche, insieme al suo diabolico cugino: il commercio delle ossa”.
Foto © Africageographic.com