Metodi alternativi alla sperimentazione sugli animali esistono e vengono utilizzati con successo anche maggiore rispetto a quelli tradizionali. Ma in questo l’Italia sconta un grave ritardo, nonostante molto spesso la validità di test effettuata su animali non sia trasferibile alla razza umana. Ad esempio, “nell’ambito del cervello nessun tipo di farmaco sviluppato su animali si è rivelato efficace sull’uomo”, ha spiegato Marcel Leist, direttore del Caat-Eu (Center for alternative to animal testing) a margine del convegno ‘La ricerca scientifica senza animali e il nostro diritto alla salute’, che si è svolto nel 2014 alla Camera dei deputati, organizzato dalla Fidaa (Federazione italiana diritti animali e ambiente).
La scienza è sempre più divisa sulla necessità dei test in vivo che, secondo il sesto rapporto della Commissione europea, nel 2008, hanno coinvolto 21.000 cani, 330.000 conigli e 9.000 scimmie. “La sperimentazione sugli animali”, prosegue Leist, “veniva utilizza in passato, ma ora esistono metodi più efficaci, come quelli che utilizzano tessuti prodotti in vitro. In particolare, in questo settore si distinguono Germania e Olanda, ma anche negli Stati uniti si stanno investendo in questo campo”. In Italia però, questo non si fa, denuncia Michela Kuan della Lav, Lega antivivisezione. Non vi sono investimenti economici e nel settore abbiamo grave dunque un gap culturale rispetto ad altri Paesi. Al contrario, spesso gli animali vengono usati in modo indiscriminato non solo per lo sviluppo di nuovi farmaci salvavita ma anche per formazione universitaria, esperimenti bellici e test cosmetici”.
Pochi i controlli, secondo Kuan, visto che “circa l’80% degli esperimenti viene autorizzato tramite semplice meccanismo di silenzio assenso, senza nessun controllo. Per giunta, il paradigma della sperimentazione animale è talmente consolidato in ambienti accademici che è anche difficile opporvisi. “All’interno delle Università gli studenti anno possibilità di fare obiezione di coscienza all’utilizzo di test su animali ma spesso sono osteggiati”, denuncia il ricercatore dell’Università della Tuscia, Roberto Cazzolla Gatti.