Condanna a sei mesi di reclusione e ad un’ammenda di 300 euro, con il divieto di tornare nel giardino della sua seconda casa, dove aveva piazzato il roccolo: questa la pena, per direttissima, decisa nel 2013 dal Tribunale di Varese nei confronti del bracconiere arrestato dal  Servizio interprovinciale tutela animali (Sita), insieme ai Carabinieri della Compagnia saronnese, con l’accusa di furto ai danni dello Stato.   

L’operazione fu condotta dal’allora responsabile del Sita, Francesco Faragò, ed ebbe un lieto fine: la liberazione dei piccoli volatili.

Maurizio Santoloci, il compianto magistrato e direttore dell’ufficio legale  Lav scomparso nel 2017, che fu a suo tempo uno dei promotori – come pretore – della teoria del “furto venatorio”, commentò all’epoca con soddisfazione la sentenza: “Siamo di fronte ad una svolta giudiziaria di portata storica, che da un lato conferma la piena applicabilità della teoria del bracconaggio come furto ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato, smentendo clamorosamente tutti coloro che fino a ieri hanno sostenuto che vigente l’attuale legge sulla caccia tale teoria era ormai inapplicabile, e dall’altro riapre scenari straordinari nel contrasto a tutte le forme di bracconaggio più sistematiche, seriali e distruttive. La sentenza ha confermato non solo che tale teoria giurisprudenziale è totalmente viva ed applicabile, ma ha anche avallato l’arresto in flagranza per i casi più gravi di bracconaggio, contro ogni regola ed al di fuori di ogni disciplina di legge. Questo caso è un segnale importante anche per gli operatori di polizia sul territorio”.

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 Foto da Ilsaronno.it

Foto tratta da Ilsaronno.it