Uccidendo gli adulti di cinghiale s’innesca una risposta compensativa nella fertilità: gli esemplari aumentano di numero e ne cresce la dispersione. E’ quel che attesta uno studio pubblicato dalla rivista scientifica Pest Management Science firmato da diversi autori (G. Massei et al., “Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe”. Pest Management Science, volume 71, aprile 2015, pp. 492-500).
I ricercatori hanno evidenziato che negli ultimi decenni la popolazione di cinghiali in tutta Europa, nonostante la forte pressione venatoria e a dispetto dei tanti metodi di caccia messi in atto, è cresciuta in maniera esponenziale. L’attività venatoria colpisce soprattutto gli adulti e innesca risposte compensative tra i cinghiali e li diffonde maggiormente nel territorio. In altre parole, la destrutturazione della popolazione che si ha attraverso l’azione dei cacciatori (anche di quelli che qualche Amministrazione pubblica chiama “selecontrollori”) comporta l’aumento del tasso riproduttivo, la riproduzione precoce delle femmine e un maggior tasso di dispersione tra i giovani.
Al contrario, la mortalità naturale – dovuta a pressioni climatiche, malattie e predazione, soprattutto da parte del lupo-, incidendo in gran parte sulle classi giovanili mantiene una struttura della popolazione più stabile e determina una minore dispersione di individui.
Nello studio si sottolinea che il tasso di aumento medio della popolazione di cinghiali in Europa è stato quasi sempre superiore a 1 con picchi sino a 1,46. Questo significa che dai primi anni ‘80 del secolo scorso a oggi l’attività venatoria non ha in alcun modo contenuto la crescita numerica delle popolazioni.
Inoltre, le immissioni per la caccia, legali e non, hanno al contrario contribuito ad aumentare enormemente il numero dei cinghiali. Già nel 1993, uno studio dell’allora Istituto nazionale per la fauna selvatica (oggi confluito nell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) sottolineava come l’attività venatoria sia responsabile di ripopolamenti più o meno massicci e di introduzioni con individui provenienti da regioni geograficamente molto distanti.
“Il tentativo di limitare i danni alle coltivazioni aumentando la pressione venatoria, che continua a essere in Abruzzo e in altre regioni italiane la scelta privilegiata di una politica miope e che prende le proprie decisioni sulla base di impressioni e non su fondamenti scientifici, è dunque profondamente sbagliato”, sottolinea il responsabile regionale del Wwf Abruzzo, Luciano Di Tizio. “Basterebbe confrontare l’evoluzione dei danni negli anni per rendersene conto. I cinghiali sono tendenzialmente stabili là dove la caccia è poco o per nulla presente, tendono ad aumentare in presenza di una pressione venatoria esagerata”.
“Sarebbe ora di finirla una volta per tutte con soluzioni semplicistiche che hanno un puro e semplice effetto propagandistico e che servono al più a raccogliere qualche consenso (e forse qualche voto) nel mondo venatorio”, aggiunge il vicepresidente del Wwf Italia, Dante Caserta. ” La strategia che attribuisce ai cacciatori il compito di contrastare un problema che loro stessi hanno determinato è perdente, inutile e spesso dannosa, per esempio quando si autorizza la braccata con i cani, la peggiore soluzione in assoluto poiché, oltre ad arrecare disturbo a tutta la fauna, anche quella protetta e preziosa (basti citare l’orso marsicano), contribuisce ad aumentare il tasso di dispersione dei cinghiali e di conseguenza produce un aumento proprio di quei danni, alle coltivazioni e alla sicurezza stradale, che si vorrebbero contenere”.