Il collare elettrico, a differenza di un normale collare, è solitamente dotato di una piccola console da cui è possibile attivare una pluralità di funzioni: l’emissione di un suono, di una vibrazione ovvero di una scarica elettrica. Le scosse o scariche elettriche, attivate a distanza dal padrone per il tramite di un telecomando, vengono trasmesse da sonde in metallo, rivestite con dei tappi, direttamente a contatto con la cute dell’animale.
Proprio in riferimento a quest’ultima funzionalità, esistono diverse pronunce giurisprudenziali che ritengono applicabile il reato di cui all’art. 727, comma 2, c.p., che punisce colui che detiene animali in maniera incompatibile con la loro natura e produttive di gravi sofferenze con la pena dell‘arresto fino ad un anno o con l’ammenda da mille a diecimila euro. In tal senso si collocano una serie di pronunce della Corte di Cassazione le quali evidenziano come il collare elettrico concretizzi una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale (sentenze n.3290/2017; 21932/2016; n.38034/2013).
Da ultimo, la Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un soggetto il quale, secondo quanto accertato dalle forze dell’ordine nell’ambito di un controllo venatorio, aveva apposto al proprio animale un collare elettrico, sul quale erano applicati due elettrodi posti a diretto contatto con la pelle del cane, e dunque privi dei prescritti tappi di copertura, mentre nella disponibilità del medesimo proprietario veniva trovato un telecomando.
La Suprema Corte di Cassazione, Sezione III Penale, con la sentenza n. 11561/2020 ha affermato che “non rileva tanto la finalità dell’utilizzo del collare elettrico, finalità educativa/addestramento, ma la circostanza che il detto collare produca gravi sofferenze che la norma penale incriminatrice è diretta a punire”. In tal caso, difatti, “l’inflizione di scariche elettriche è produttiva di sofferenze e di conseguenze anche sul sistema nervoso dell’animale, in quanto volto ad addestrarlo attraverso lo spavento e la sofferenza“
Nella sentenza richiamata viene anche menzionato anche l’art. 7 della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia il quale stabilisce che “nessun animale da compagnia deve essere addestrato con metodi che possono danneggiare la sua salute ed il suo benessere, in particolare costringendo l’animale ad oltrepassare le sue capacità o forza naturale, o utilizzando mezzi artificiali che causano ferite o dolori, sofferenze ed angosce inutili”.
In conclusione, alla luce dell’orientamento giurisprudenziale attuale, è possibile affermare che l’utilizzo di un collare che invia scosse o scariche elettriche al cane integra il reato di cui all’art. 727, comma 2, c.p. non rilevando la finalità educativa o di addestramento.